Una riflessione personale, un racconto in musica, e il perché Giuseppe Strazzeri si ritiene un fatalista.
Arrivi ad un punto nella vita in cui ti rendi conto che alcune strade portano più ad un destino che ad una destinazione.
Quando la musica mi rapì, avevo soltanto 12 anni, entrai in un piccolo teatro che puzzava di umido e di fumo di sigarette, sul palco un quartetto jazz veniva illuminato da due faretti, uno a destra e uno a sinistra; la platea era semi deserta e alcuni di quei pochi presenti, non sembravano nemmeno tanto interessati ma a quei quattro sul proscenio, credo non fregasse nulla.
Un uomo piccolo di statura con degli strani capelli suonava un contrabbasso, un po’ più alto di lui.
Fu lì che vidi per la prima volta quelle espressioni buffe che un musicista fa mentre è immerso nella musica e quegli ammiccamenti che si scambia con i propri compagni, quasi come a sussurrarsi un segreto a bassa voce.
Fu quello il giorno che la musica entrò nella mia vita, come un sentimento puro, un amore segreto che vuoi proteggere dalle cattive intenzioni, quello fu anche il giorno che decisi di diventare un musicista.
Finiti gli studi iniziai a cercare un lavoro nel settore musicale ma nella Sicilia dei primi anni 2000, quello non era un lavoro, era un passatempo; il business musicale girava solo a Milano e a Roma. Iniziai a lavorare con alcune società di promozione musicale, prima come radio promoter e poi come management, conobbi da vicino quel settore artistico che tanto mi appassionava ma che col tempo, apprendendone alcuni meccanismi, deluse alcune mie visioni da musicista sognatore.
Conobbi la gentilezza e l’umiltà di molti grandi artisti e l’arroganza e superbia di alcune meteore ma nel frattempo il mio bagaglio di esperienza si riempiva.
Il mio primo PC di ultima generazione montava un Hard disk da 4 gigabyte e mentre il caffè preparato con la moka saliva, Windows 98 era già pronto a collegarsi in 56K con il mondo del web. Ebbi la sensazione, o forse come dicono molti, l’intuizione che tutto prima o poi sarebbe finito lì dentro quel monitor; decisi di investire in quella tecnologia, preparandomi a ciò che sarebbe accaduto da lì a qualche anno.
Nel settembre 2008 decisi di aprire una etichetta discografica interamente basata sul web e di andare alla ricerca di nuovi talenti. Molti scoraggiavano la mia idea, dicendo che altri in passato avevano tentato di aprire una casa discografica senza grossi capitali e che da lì a poco erano finiti in rovina ma a me importava poco;
“Che nome dovrei dare a un’etichetta discografica? … Sono un italiano nato in Francia, con un carattere irrequieto; sembra la descrizione di Amedeo Modigliani … Modì … la mia azienda si chiamerà MHODI ‘!!!“
Realizzai il primo sito: mhodi.it. Misi degli annunci e ricevetti inaspettatamente centinaia di demo, molte scartate ma alcune riuscirono a incuriosirmi, decisi di investire solo su alcune di esse.
La prima band che produssi non ebbe grande riscontro da parte del pubblico, ma durante la realizzazione del videoclip, il registra scelse una ragazza come attrice protagonista, di cui io non ero molto convinto… oggi quell’attrice è diventata mia moglie.
Sono passati diversi anni da quel 2008, quella idea nata per gioco, chiamata Mhodì, col tempo divenne una società, con produzioni proprie e collaborazioni con l’estero, nacquero nuove idee e sinergie fatte di successi e sconfitte ma che hanno sempre avuto un unico scopo, portare avanti la buona musica. Abbiamo deciso di dare, dove è stato possibile, priorità alla qualità, più che alla quantità, senza gli affanni di andare dietro ai gusti di un pubblico sempre meno attento all’arte. Questa linea di pensiero, a volte, in questi anni, dove tutto è cambiato, non è stata certo facile da mantenere ma insieme ai miei collaboratori, a testa bassa, andiamo avanti.
Devo tanto alla Musica, mi è stata vicina nei momenti belli e in quelli brutti, ha scritto il mio futuro, ha deciso la mia professione e ancora oggi riesce a incuriosirmi e ad emozionarmi, come quando prendo la mia bambina in braccio e facendola volteggiare lei mi dice:<< Ancora papà, balliamo ancora>>
<<Certo, Alice Melody>>